domenica 6 gennaio 2013

La crisi del settimo anno

Niente di nuovo sul fronte occidentale, si potrebbe dire.
Oppure si potrebbe dire: “Sporadiche novità sul fronte orientale”

In sostanza, si torna a viaggiare, si torna a lavorare, si torna a lamentarsi.
Sì, lamentarsi, o forse riflettere.
Perché uno spunto di riflessione c’è, anche se è stato messo da parte da altre incombenze familiari lo spunto c’è eccome.

Sono sette anni sette che lavoro dove lavoro.
Sono sette anni sette, da settembre per essere precisi, che son qui a fare questa “vitaccia”.

Vitaccia poi… una volta era peggio.
Gli hotel erano più scadenti, erano peggio (anche se sembra impossibile). 
Anche le macchine su cui macinavamo chilometri e chilometri, sulle quali passavamo interi giorni a volte, erano peggio (ed anche qui mi vien da aggiungere che pare davvero impossibile).

Era peggio, ma era meglio. Perché NOI eravamo più giovani.
Era peggio, ma era meglio, perché eravamo più liberi.

Liberi da vincoli e da famiglie. Da debiti e da costrizioni.
Non che ora come ora i vincoli che ci siamo scelti (sì, sono scelte, nessuno ce le ha imposte) ci pesino.
Non sono essi a pesarci in quanto limitazioni, pesano per il semplice fatto che esistono.
Esistono e quindi ci ricordano che non siamo più liberi, ma non potremmo vivere senza, che sia chiaro.
La vita che vivo mi piace, ma, a volte, la vorrei più libera, più spensierata, più… giovane.

Non sono vecchio, non potrei scrivere qui se lo fossi, ma… sono stanco.
Stanco di fare questa vita. Alla mercé di gente che può, letteralmente, decidere di me e mandarmi chissà dove a fare chissà cosa.
Certo, per questo vengo pagato, non sia mai che io mi faccia il sangue cattivo a gratis, ma mi basta?
Mi sembra abbastanza?

No, non mi sembra abbastanza anzi, mi pare che, passando il tempo, basti sempre meno.
Perché se una volta non mi pesava allontanarmi dal mio covo anche per lunghi periodi, ora mi pesa.
Ora mi pesa non poter restare insieme ai miei vincoli.
Ora mi pesa non poterci essere perché "chissà chi" ha deciso diversamente.

Non mi sento completamente proprietario della mia vita ed in effetti non lo sono.
Sono vincolato, ma non dalle persone, non dalle situazione, sono vincolato dalle necessità, dai desideri, dalle consuetudini.
Sono vincolato perché ho paura di svincolarmi, perché se volessi, se trovassi il coraggio, la costanza, l’impegno il tempo, la forza mentale, la perseveranza, forse potrei anche fare a meno di tante cose, e quindi potrei svincolarmi.

Ho voglia di cambiare, radicalmente, ho voglia di rimettermi in gioco, ho voglia di impegnarmi davvero, e visto che, a ben vedere, qualcosa da fare potrei anche avercelo, lo faccio, taccio, e sviluppo le mie idee, scrivo i miei racconti, finisco i miei romanzi…

Sono vincolato perché, dico, non riesco a trovare il tempo e le energie per scrivere.
Sbagliato.

Sono vincolato perché ho paura di fallire.
Perché so che se finissi il mio romanzo e nessuno se lo cagasse nemmeno di striscio ci starei troppo male.
Perché so che se fallissi non lo sopporterei, ed allora ciancico, mistifico, mento a me stesso  pur di non finire sul serio ed affrontare la situazione (esaltante e terrorizzante) di presentare un testo definitivo al vaglio del pubblico e della critica.

E allora basta.
Basta tentennare.
Crediamoci fermamente con impegno e determinazione.
Lo dico a me per primo e poi a te, mio fidato e (forse) quantitativamente misero pubblico.
Impegno e dedizione e poi, forse, cambieremo questi vincoli che ci fanno andare tanto in crisi.

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